Antonio Tabucchi | Un omaggio a due "giovani" maestri, 16/03/1999

Antonio Tabucchi | Un omaggio a due "giovani" maestri

16/03/1999

Antonio Tabucchi | Un omaggio a due "giovani" maestri

Non so come reagireste voi leggendo una frase come questa: «La figurazione postmoderna sta ai videogames come la postastrazione sta alla computer graphic», che non sono le parole di un rock demenziale, ma una interpretazione «critica» (R. Barilli, “Anniottanta”, Mazzotta, Milano, '85). Su di me ha l'effetto di farmi scappare a gambe levate dagli autori ivi rappresentati, anche se magari, poverini, sono molto bravi, per cercare un po' di ristoro in luoghi meno illuminati al neon. Thomas Bernard, in uno dei suoi sulfurei romanzi (anzi, «vagabondaggi narrativi») intitolato “Antichi maestri”, ci ha lasciato le sue fantasticherie intorno ai quadri di certi grandi pittori del passato come Tintoretto o Tiziano, messi a disposizione sulle pareti di un illustre museo per l'eventuale «emozione estetica» del visitatore. L'attuale sedentario che scrive, consapevole delle teorie di Walter Benjamin sull'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, si accontenta più modestamente dell'emozione estetica procuratagli dalle riproduzioni di tre volumi che non si stanca di sfogliare. Emozione certo più domestica e umile, ma che presenta i suoi vantaggi. Per esempio, se la giornata è bella, uno può prendersi i libri e portarseli al mare, o in campagna, o nel parco cittadino (dipende da dove si abita) e godersi personalmente quei quadri sulla pagina.
E se invece piove se li sfoglia in casa, perché guardarli è efficace rimedio contro l'uggia della giornata.

 

Sono i libri di due Giovani Maestri: Ernesto Treccani e Giancarlo Vitali. Sono artisti ben noti a chi ama la pittura, ma non sembrerà superfluo, per i lettori che li conoscessero meno, discorrere qui della loro opera attraverso questi libri.
Treccani è nato a Milano nel '20. Rappresentante di un'estetica che si opponeva all'arte ufficiale fascista, espose per la 1a volta nel ‘40 nella bottega di «Corrente» insieme a Guttuso, Migneco, Sassu, Birolli. Nel dopoguerra, con Vittorini, Raffaele De Grada, Testori e altri è stato animatore di riviste fondamentali per l'arte italiana come «Realismo» e «Pittura». Così vasto e denso è il suo curriculum di artista che parrebbe arrogante riassumerlo in un elzeviro. Mi limito a dire che ancora oggi è direttore della fondazione «Corrente» di Milano, alla quale la cultura italiana deve essere grata. Ma il libro di cui voglio parlare si chiama “Opere grandi” (dove l'aggettivo indica ovviamente le misure geometriche, ma se lo intendeste nell'altro senso non vi sbagliereste), pubblicato dalla Golden art e Centro d'arte Primavera di Roma, che riproduce i bozzetti e le opere grandi del ciclo Inferno/Purgatorio/Paradiso eseguito nel '94-'95. Guardando questi oli leggeri come acquerelli, dove i cromatismi si fondono come linee di straordinaria vitalità, mi sono chiesto in quali delle tre «Cantiche», se fossi obbligato a scegliere, andrei più volentieri ad abitare. Certo, nel Paradiso c'è un «Sole e mare» dove credo mi troverei davvero bene, e una «Figura sdraiata» alla quale mi sdraierei volentieri accanto. Ma anche le due figure pungenti «Incapaci di intendersi», sperdute nel loro «troppo azzurro», sono un luogo della nostra vita, lo sentiamo subito: è impossibile evitarle. Ma anche i rossi e i neri della «Guerra», con quelle fitte di carboncino che sembrano schegge di granata, sono un inferno che ci concerne e al quale non possiamo sottrarci asserendo che noi non c'entriamo.
Il mondo di Giancarlo Vitali riprodotto nei due libri che ho davanti (“Opere”, Electa, Milano, '95, a cura di M. Vallora e M. Goldin; “La memoria sottile”, Stefanoni, Lecco,'98), con i colori della tavolozza il primo, affidato al bianco del graffio dell'incisore il secondo, pur senza esplicitarli, rappresentano anch'essi, per i loro vari temi, l'inferno, il purgatorio e il paradiso di ogni uomo e di ogni artista. E anche qui sarebbe difficile per l'osservatore eleggere una delle tre condizioni.
Vitali (classe '29) è nato a Bellano, sul lago di Corno, e il suo ramo di lago può volgere sia al mezzogiorno, sia alla gelida tramontana, sia allo scirocco che adduce spaventose cefalee alle anime in transito. Espose per la prima volta nel '47, alla terza mostra italiana d'arte sacra per la Casa cristiana. La sua opera ha attirato la penna di scrittori, poeti, critici e sociologi; da Testori a Gianni Brera, a Franco Loi, a Giorgio Bocca, a Marco Vallora, a Natalia Aspesi. Come per Treccani, altrettanto difficile è per le opere di Vitali stabilire a quali luoghi appartengono. Il bue squartato che mostra la sua povera carne sanguinante ci indicherebbe a prima vista l'Ade. Ma un sospetto che quella carne sia, nella sua miseria, un trionfo, ci può far pensare il contrario. Così come a prima vista le vecchie dei gatti e gli omini delle osterie ci potrebbero sembrare creature di purgatorio, o le barchette all'ormeggio un felice approdo dopo sofferenze e peregrinazioni: la nostra finale Itaca.
Ma chissà invece che l'inferno non sia solo un pomeriggio d'osteria o un ridicolo cappellino della vecchia dei gatti. E il porticciolo anelato dalle sirene barchette un luogo infido in cui si è arrivati per perdersi.
Agli amici spagnoli piacerà sapere che Treccani e Vitali sono stati sensibili alle suggestioni della loro cultura. Treccani per una serie di opere ispirate al Don Chisciotte, Vitali (che, fra l'altro, cita esplicitamente “La vita è sogno” di Calderòn), perché i suoi tori morti hanno sicuramente attraversato i versi più andalusi di Lorca.
Ciò che Marco Vallora, con una bellissima immagine, ha detto dei personaggi di Vitali («periclitanti pedoni di un bestiario, a metà fra la vita e l'azzardo come i ciechi di Brueghel, e per un attimo il faro della pittura li acceca»), credo possa valere anche per i quadri di Treccani.
Personaggi e situazioni dell'animo, in transito verso luoghi ignoti, sorpresi dalla luce abbagliante dell'arte. Non la luce fluorescente dei tubi al neon dei video games, ma quella che, come dice un verso di Montale, «candisce uomini e cose in un'eternità d'istante».

Antonio Tabucchi
"Treccani e Vitali - Istanti d'eternità"
El Paìs/Corriere della Sera