Armando Massarenti | Il senso è nella cornice, 01/01/2008

Armando Massarenti | Il senso è nella cornice

01/01/2008

Armando Massarenti | Il senso è nella cornice

Che cosa fa un quadro? Quasi sempre - al di là, e prima ancora, di ogni concettualizzazione e di ogni riflessione - fa una cosa molto semplice: ci racconta una storia. A volte addirittura una storia vera. Anzi, la incornicia.
Raccontare e incorniciare possono essere due attività molto simili tra loro. A volte bastano poche parole ben composte, o poche pennellate ben incorniciate, e si dischiudono interi mondi.
Anche le ricette, in un certo qual modo, sono storie. Prendiamo per esempio una definizione culinaria: «I missoltini (o misultit) sono pesci, gli agoni, salati ed essiccati, tipici del lago di Como». Questa ricetta contiene un microracconto. I misultit più pregiati - leggo aprendo un manuale di cucina - sono quelli pescati a maggio, sui fondali sassosi dove depongono le uova. In quel periodo però ora la pesca è vietata, e bisogna aspettare giugno o luglio. Privati delle interiora, gli agoni vengono strofinati con sale, tagliati sul dorso e deposti in una marmitta ove vengono rivoltati ogni dodici ore. Dopo un paio di giorni vengono risciacquati e infilzati in uno spago, così da poter essere fatti essiccare all'aria aperta per finire, dopo qualche giorno, in un recipiente di latta.
Ed è lì che li ritroviamo nei quadri di Giancarlo Vitali. In un quadro con missoltini in barattolo non è possibile, certo, cogliere tutti i dettagli della storia. Ma poco importa.

 

Vitali infatti, volutamente, per puro istinto poetico, ci mostra solo la fine di una storia. I particolari li immagineremo noi, e assai vividamente. Magari in maniera vaga e imprecisa, ma certo assai più pregnante e drammatica che nella  versione in stile  "Cucchiaio d'argento".
Le lattine, i piatti, le pentole, i cesti, persino le tovaglie, contengono il finale di tragedie svoltesi altrove, che si dispiegano qui ed ora davanti alla nostra mente.
Proprio perché Vitali ce ne mostra, con grande efficacia visiva, l'epilogo, i soggetti dei suoi quadri sembrano volerci urlare a gran voce che cosa è loro successo. Raccontarci storie di reti e di essiccatoi, di macelli e squartamenti. Tutte varianti dell'infinita vicenda "umana troppo umana" che - direbbe René Girard - lega indissolubilmente «la violenza e il sacro». Cos'altro evocano infatti queste teste di coniglio o di porco - sia pure talvolta con deliziose sottolineature ironiche, come accade con il maiale intitolato «Preoccupato» - se non la violenza come sinonimo di esistenza individuale o collettiva, con i suoi riti sacrificali e le sue vittime innocenti? Violenza che però, nei quadri di Vitali, si consuma sotto i nostri occhi, nelle pieghe di ciò che ci appare più naturale e quotidiano: una semplice pietanza, una tovaglia piena di resti, una tavola imbandita.
Ciò che conferisce pregnanza e drammaticità a figure così familiari non è, come si potrebbe pensare, il fatto che talvolta esse grondino di sangue. I missoltini, nella loro luccicante bellezza, non ci trasmettono comunque sentimenti molto lieti. La spiegazione sta invece proprio nella funzione che rivestono le cornici. Non le cornici fisiche, meramente decorative - che non a caso raramente attorniano un'opera di Vitali: al massimo troverete delle strutture minime, con la mera funzione di reggere il quadro - bensì le cornici che lo stesso artista ha creato entro lo spazio visivo delle sue opere.
È come se la composizione venisse per così dire destrutturata da Vitali, mediante la creazione di uno o più campi isolati, delimitati da confini interni, entro il medesimo quadro.
René Magritte aveva moltiplicato la possibilità di tali confini dipingendo cornici dentro cornici all'infinito. Ma non c'è bisogno di dipingere una vera e propria cornice per percepire l'effetto che questa crea all'interno di un quadro. Nei dipinti di Vitali sono le tovaglie, o i piatti, o i barattoli, a fungere da cornici interne. Unitamente alla forza espressiva del colore e del tratto sicuro e coltissimo - vi si colgono innumerevoli illuminanti citazioni da pittori del passato - tali cornici isolano le figure dal resto del dipinto che, a sua volta, è isolato dalla realtà.
Le varie figure assumono dunque drammaticità proprio nel loro essere isolate, ciascuna in un proprio campo d'appartenenza. Per questo, e non solo per la comunanza di alcuni temi rappresentati, Vitali può ricordarci Francis Bacon. Entrambi si muovono in un ambito che non è né astratto né figurativo, bensì, come lo ha battezzato il filosofo Gilles Deleuze, «figurale». Il figurale si rivolge alle emozioni e ai sensi del fruitore, perché nasce dalle emozioni e dai sensi del pittore. Si può dipingere il sentire?, si chiede Deleuze. La risposta è che lo si può fare proprio inquadrando, come fa Bacon, le figure in campi isolati l'uno dall'altro. Creando intorno a loro un deserto, un senso fisico di solitudine. Una solitudine letterale.
Solitudo in latino significa appunto luogo deserto. Giancarlo Vitali riesce a darcene il senso rappresentando uno sparuto resto di testa di coniglio, ma anche un’affollata lattina di pesci luccicanti smarrita nel bianco di una tovaglia o un ripiano. La cornice è sempre la cornice di una storia, e finisce per assumere anche un valore "capovolto" rispetto a quello del delimitare. Anzi, è proprio perché i confini sono così ben rappresentati che, con gli occhi della mente, riusciamo a vedere, assieme ai misultit inscatolati, cioè alla fine della storia, anche un suo svolgimento che comprende la vita guizzante degli agoni sui fondali del lago. E né gli uni né gli altri ci appaiono poco reali.

Armando Massarenti
Giancarlo Vitali. Attorno al tavolo
Galleria Antonia Jannone, 2008