Marco Carminati | Un catalogo fatto a mano. Colloquio con Giancarlo Vitali, 01/01/1997

Marco Carminati | Un catalogo fatto a mano. Colloquio con Giancarlo Vitali

01/01/1997

Marco Carminati | Un catalogo fatto a mano. Colloquio con Giancarlo Vitali

«Mi raccomando scriva che io sono burbero, altrimenti la mia pace e la mia solitudine vanno a farsi benedire».
Esordisce così Giancarlo Vitali raggiunto nel suo studio-casa-eremo di Bellano, mentre è al lavoro per montare il catalogo dei disegni che compongono questa mostra.          
Chissà perché questo pittore è circondato dalla fama di orso solitario. A me è parso tutt'altro: è un conversatore affabile, capace di coinvolgere emotivamente l'interlocutore. Si può stare a parlare con lui una giornata intera senza accorgersi del declinare del sole. Le emozioni provate nel corso del suo amatissimo lavoro, i piccoli segreti di bottega, il ruolo dei personaggi e delle cose che si manifestano nelle opere, gli amici, gli artisti del suo tempo, il suo lago che muta inesorabile, la moglie, i figli, i nipoti sono la trama del pacato conversare di Giancarlo Vitali, scandito da libri cavati dallo scaffale, da cartelle aperte per far vedere ciò di cui si parla, e poi dall'ostensione dei quadri, grandi e piccoli, recenti e meno recenti, presi in bell'ordine dalla rastrelliera nella stanza di là.

 

Mentre si discorre, capita di venir più volte invitati ad affacciarsi alle finestre. Non è la stravaganza di un eccentrico: semplicemente Vitali vuole che l'interlocutore sfiori con gli occhi gli orizzonti del suo universo, la sua Bellano coi tetti vecchi della Pradegiana (il borgo dove è nato), la piazza alberata con l'imbarcadero, le case con le cantine nel lago.
Nessuno sfugge a questo rito dei punti cardinali, al giro delle finestre di casa che guardano il Lario verso Menaggio, il Lario verso Dervio e quelle che inquadrano i monti della Valsassina.
«Guardare il mio paese dalle finestre non è una mania - spiega Vitali - ma qualcosa di necessario. Deve sapere che io non ho mai piazzato il mio cavalletto in qualche angolo del paese, se non in rarissimi casi e al mattino prestissimo. Ero terrorizzato che qualcuno potesse vedermi. E quindi invece di lavorare all'aria aperta sono il più delle volte rimasto tappato nella casa di mio padre a spiare il mondo e a ritrarlo dalle finestre. I disegni che aprono questo catalogo (i numeri 1, 2, 3, 6, 8 e 9) sono il frutto di questa mia timidezza».

Già, il catalogo. Per Giancarlo Vitali montare il catalogo di una sua esposizione è un fatto di somma importanza. E forse per questo non delega a nessuno l'incombenza. Un tempo, quando la fotocopiatrice non esisteva, Vitali realizzava il menabò totalmente a mano disegnando in miniatura tutte le illustrazioni previste in ogni pagina. Ne uscivano dei piccolo capolavori, dei pezzi unici. Dagli scaffali di casa ne cava uno per mostrarmelo: è montato su fogli di protocollo a quadretti ormai ingialliti, è un libro sulla storia del suo paese con tante foto che Vitali ha ripreso a penna o carboncino, abbozzando vedute, volti e profili. Un tempo lavoravano così anche i grafici più in gamba. All'Electa degli anni Cinquanta, per esempio, quando c'era da impaginare un libro sulla pittura veneziana del '700 si poteva contare su grafici in grado di fare a mano piccole copie dei capi d'opera della pittura lagunare (quadri di Guardi, Canaletto, Tiepolo) e di inserirli nel menabò al punto desiderato. Il procedimento di Vitali era analogo. Adesso però il progresso è entrato anche nella bottega di Bellano: c'è la fotocopiatrice.
«Per questo catalogo - mi racconta - ho fatto le fotocopie dei disegni prescelti. Poi, ho dovuto pensare alla sequenza da dare ai disegni. In passato, trovandomi a montare i miei cataloghi accanto a critici o a studiosi chiamati a fare i curatori, mi sono spesso trovato in disaccordo con loro. Vorrebbero che su ogni cosa regnasse l'ordine cronologico, ma a me la cronologia non interessa. Non credo che abbia senso porre in un catalogo il «Sacrestano», accanto al «Gallo sulla sedia» solo perché uno è stato dipinto il giorno prima e l'altro il giorno dopo. Nei miei cataloghi cerco di dare una sequenza alle opere in modo da aiutare il pubblico a guardare. Quindi, come in questo caso, ho diviso i soggetti per temi, ho adattato disegni nati in altri contesti al contesto che mi interessa in questa circostanza, e naturalmente ho fatto tutto questo a scapito dell'ordine cronologico.
Una volta ho avuto dei dubbi in proposito e ho chiesto aiuto a Testori. "Gianni - ho detto - io non sto mai a guardare la cronologia dei quadri, faccio bene o faccio male? E lui mi ha risposto roco: "Freeegatene!". Così io me ne frego».
Evviva la libertà di chi ragiona con la propria testa, di chi non ha mai accettato l'omologazione, e ha preferito vivere tra i «monti sorgenti dall'acque ed elevati al cielo» piuttosto che in quello studio con la cupola di vetro in Piazza Cadorna a Milano che alcuni amici negli anni della gioventù si erano premurati di offrirgli. In fondo, anche questa cura maniacale attorno al catalogo, ha qualcosa di insolito. «Cosa vuole - si schermisce Vitali - per me i dipinti e disegni sono qualcosa di unico. Quando li vedo partire dal mio studio mi viene il magone. Sento di averli persi per sempre. Il catalogo è l'unico modo per tenere in vita quello che per me è irrimediabilmente perduto. Ecco perché ci sto così attento».
Accende forse la decima «Parisienne» e per la decima volta, prima di farlo, mi chiede con garbo se mi dà fastidio il fumo. Lo rassicuro. Allora si alza e accosta ad un disegno giovanile, il «Ritratto del fratello» del 1946 (catalogo n. 26), un dipinto delle stessa epoca, quel «Ritratto di Polti» del 1949 che tanto piaceva a Testori. «Vede, disegno e dipinto sembrano di mani diverse. Negli anni verdi dipingevo molto ma disegnavo poco. E mentre nella pittura già mi sentivo molto disinvolto e affrontavo la tavolozza con estrema libertà facendo vorticare il colore, nei disegni sentivo la necessità di un linguaggio più accademico. Per me, che non ho avuto alcuna formazione tradizionale, disegni di questo tipo rappresentavano una sorta di "accademia volontaria", di "autoaccademia fatta in casa"».
Mentre Vitali parla, l'occhio cade sul «Ritratto della nonna» del 1945 (catalogo n. 24) e con petulante puntiglio faccio notare che nonostante appartenga ai primissimi anni di attività è condotto con sicurezza impressionante. «Lei ha ragione, questo carbone è un disegno che rivedo sempre volentieri perché l'ho realizzato di getto senza pentimenti, senza che la gomma sia mai entrata in azione. Un piccolo miracolo di sicurezza. Ma, ripeto, allora mi sentivo molto più sicuro coi pennelli».
La ricerca della sicurezza parrebbe a tutta prima il problema principe degli esordi di Vitali disegnatore. Ma non è così. Nella «Finestra sul molo» del 1952 (catalogo n. 3) l'artista è già consapevole di un passo in avanti. «In questo foglio, in effetti, il problema della sicurezza è già secondario, subordinato allo sforzo di perseguire un disegno d'atmosfera e di volerlo ottenere con pochi ma decisi tratti di carboncino. E rivedendolo ora mi accorgo che in fondo stavo cercando un'altra cosa: stavo cercando il mio segno personale».
Se l'abbia mai ritrovato Vitali il suo segno personale è difficile dirlo, perché è chiaro che l'artista - e i disegni qui riuniti sono carte che cantano al proposito - non è uomo da accontentarsi della conquista di uno stile da seguire e venerare come una religione. Pungolato sul tema risponde aperto: «Senta, io lavoro con irrequietezza e divertimento, con una certa voglia di giocare. Tutto qui. Quando persone come lei vengono a chiedermi da dove mi viene l"'ispirazione", io cerco di essere gentile, dico qualche banalità, ma dentro mi sganascio dalle risate: ma quale ispirazione! L'ispirazione non esiste! Certo lo spunto mi viene da ciò che mi sta attorno, ma lo stimolo a dipingere o a disegnare scatta dalla voglia di fare ogni giorno qualcosa di nuovo, di non ripetermi, di essere incostante nelle tecniche. I disegni che lei vede appartengono a questo "laboratorio"».
In cinquant'anni di lavoro, Vitali ha realizzato alcune centinaia di disegni, la cifra giusta però non la ricorda. Dice di non aver mai sentito l'esigenza di proporli in una mostra, proprio per la loro natura poco ufficiale, di sghiribizzo di esperimento e divertimento, più che di opera compiuta.
«Noterà - mi dice - che i supporti di questi disegni sono quello che capita. Io detesto il "bel materiale", i "bei fogli". Il supporto elegante e raffinato mi fa paura. Mi trovo bene sulla cartaccia perché sono libero, perché le idee che mi corrono nelle vene possono sgorgare istintive e spontanee. I disegni che abbiamo davanti sono venuti occasionali tra un ritratto e un olio, tra un olio e un'incisione, li ho buttati giù su carta da pacco o foglietti strappati dal bloc notes, li ho pasticciati secondo l'estro del momento».
Ma la proposta di questa mostra ha costretto l'artista a tirare le somme. Nel riordinare per la prima volta il corpus dei disegni, Vitali ha fatto in realtà ordine nella memoria, ha ricomposto un mosaico della propria esistenza, allineando fogli "sbrecciati" e "pasticciati" quasi fossero tessere parlanti di un tempo di affetti e di lavoro, un tempo scandito da bonarie ironie e stellari "magoni", da nascite e addii e dal lento mutare di quel lago su cui tutto s'affaccia.
«Ho tirato fuori tutti i disegni che mi sono rimasti di quelli che reputo decenti. La difficoltà non è stato scegliere cosa mettere in mostra, semmai cosa eliminare. Li ho guardati e riguardati per cercare di cavarne una storia o delle storie da proporre ai visitatori. E' nata così la sequenza del catalogo che adesso sembra fatta di disegni nati per stare uno accanto all'altro, o almeno così a me pare».
Gli chiedo dei titoli scelti per le sezioni. «Mah, non sta a me spiegare troppo. I critici ci sono apposta per farlo al posto mio e poi vorrei lasciare un po' di libertà anche alla fantasia dei visitatori. Comunque la prima sezione, intitolata "Da lago e da terra" racchiude i disegni del mio mondo: Bellano, i suoi abitanti e l'antica fatica della pesca, oggi svanita. Negli ''Appunti familiari" c'è la galleria dei miei affetti più stretti, mentre nella terza sezione, ''Appena ieri", la galleria si allarga a figure curiose, stravaganti, vissute davvero o inventate calcando caratteri, che esprimono potenzialità interiori (dalla gamma del comico a quella del tragico) che mi paiono veramente esplosive».
Capisco che Vitali non si trova a suo agio quando "spiega" se stesso. Scivola velocemente sulle altre sezioni dedicate al mondo degli animali (Anche loro) al fascino delle macellerie (Ancora carne), alla sottile demenza che ci spinge alla massificazione e all'edonismo (Parentesi estiva) e alla pesante consapevolezza della dissoluzione del tempo unita però alla consolazione dell'avvicendarsi delle generazioni (Siamo solo delle comparse).
Sfodero di nuovo lo spadino della petulanza e faccio notare a Vitali che su cento e passa disegni in mostra quasi la metà sono ritratti. Chiedo perché. «Ci sono persone che hanno scritto in faccia la loro storia. Bisogna saperla leggere nelle pieghe dell'espressione e della maschera fisica. Però, solo alcuni volti mi interessano, e sono quelli che già intuisco essere potenziali protagonisti del mio teatrino. Poi, sono irresistibilmente attratto da persone che pur restando in silenzio rivelano senza veli quello che pensano oppure i loro difetti. Guardi ad esempio il disegno con "Le stagioni dell'agone" (nel catalogo è il numero 3): ho voluto ritrarre l'egoismo, espresso da alcune figure che attendono l’imbrunire sul molo con l’impazienza e l’avidità di chi non vede l’ora di scatenarsi a pescare e fare la festa a quattro poveri agoni del lago.
Ha presente quelle donnette maligne che per iniettare i loro veleni non hanno nemmeno bisogno di aprire la bocca? Ecco, provi a dare un'occhiata al disegno 45 che ho chiamato “A bocca chiusa”».
Vitali ride di gusto nella sua nuvola di fumo, facendo capire quanto deve essersi divertito a fissare sulla carta quel monumento al pettegolezzo muliebre.
Continuo a stargli intorno mentre prepara i fogli. Passandoli tra le mani mi spiega le varie tecniche con cui li ha realizzati: carboni e carboncini, inchiostri e tempere, matite e chine, sanguigne e acquarelli, presi da soli o combinati in libertà nei suoi "pasticci". Quando domando cosa sia un «monotipo», invece di spiegarmelo fa prima a farmene uno: prende una lastrina di rame, la sporca in velocità col pennello e la capovolge appoggiandola su un foglio di carta spessa. Un giro sotto il torchio e il gioco è fatto: sulla carta si è impresso il colore, e che sorpresa mi coglie quando mi accorgo che il "pasticcio" è in realtà un profilo ben noto, quello del Farmacista Pirola. Vitali mette il foglio sul cavalletto e veloce come una saetta lo aggiusta a colpi di matita, le matite grosse e carnose che tiene sul tavolo temperate col coltello, come quelle dei nostrani «legnamè».
«Ecco, Carminati, questo è un monotipo». Riprende la «Parisienne» dal portacenere e getta uno sguardo alla finesta sui monti. La luce netta del primo tramonto investe il viso rotondo di Vitali marcandogli i tratti e facendogli brillare gli occhi azzurri e liquidi. Quasi mi spiace che non si veda, perché se si vedesse in quel taglio di luce non potrebbe tirarsi indietro: la sua stessa faccia è un catalogo, una memoria di cose vissute.

 

Marco Carminati
Giancarlo Vitali. La memoria sottile - 100 disegni
Casa editrice Stefanoni, 1997